IL CULTO DI S. ANTONIO DI PADOVA NELLA STORIA
DEL POPOLO DI MALETTO
(di GIORGIO M. LUCA)
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Statua di S. Antonio di Padova, scolpita da A. Bagnasco in Palermo alla fine del’700 e donata al popolo di Maletto, in occasione della costruzione della Chiesa, dal Principe di Maletto, Muzio Spadafora Moncada. Restaurata nel 1991 da G. Faro da Catania
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“E cu chiù benî lu voli,
cchiù forti lu chiama:
Viva Sant’Antuninu, viva ! “
( Invocazione a S. Antonio
dei portatori della vara durante la processione)
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Nel 1995 ricorreva l’8° centenario della nascita di S. Antonio di Padova (nato nel 1195, morto nel 1231) e in quell’anno i festeggiamenti a Maletto furono arricchiti da diverse e particolari iniziative.
Fra queste iniziative, organizzate dal Comitato, nel mese di maggio 1995 venne effettuato un pellegrinaggio alla Basilica del Santo a Padova e l'incontro con le comunità degli emigrati malettesi a Basilea al fine di rinnovare i legami con Maletto e il suo Santo Patrono.
Il pellegrinaggio ebbe luogo subito dopo la visita pastorale dell'Arcivescovo Mons. Bommarito, che il 7 maggio di quell’anno aprì ufficialmente le celebrazioni dell'8° centenario.
La delegazione di malettesi, partita in pullman il 19 maggio, era costituita da una rappresentanza del comitato presieduta da Pippo Spitaleri, con la partecipazione del Sindaco Gianni Parrinello, del Parroco Salvatore Incognito, di alcuni confrati della neo costituita confraternita di S. Antonio e di molti fedeli.
Venne celebrata una S. Messa nella Basilica del Santo a Padova che molti hanno visto per la prima volta. Nell’occasione sono stati rinnovati i sentimenti di devozione a S. Antonio. Particolarmente commovente la visita alla tomba del Santo e alla cappella ove sono conservate le reliquie: la lingua, il mento, il saio etc.
Giunti l’indomani a Basilea, nei locali della missione cattolica si svolse un’affollato incontro con numerosi emigrati malettesi residenti a Basilea, Lörrach e molti altri provenienti da diverse località svizzere, dalla Germania, dalla Francia e financo dal nord Italia.
Parteciparono autorità e rappresentanti di enti ed istituzioni, fra i quali il Console generale d'Italia in Basilea e il Presidente del Consiglio di Stato di Basilea.
Durante l’incontro relazionai sul significato del culto di S. Antonio nella storia del popolo malettese e fra gli emigrati seguita da vari interventi nei quali venne sottolineato l'apporto dei lavoratori emigrati e la loro presenza in Svizzera.
A conclusione della visita, la domenica 21 maggio venne celebrata dal Parroco Salvatore Incognito la S .Messa nella chiesa di S. Giuseppe, stracolma di fedeli, ancor più numerosi della sera precedente. Durante la messa fu esposta la reliquia di S. Antonio, portata da Maletto e fu donata la statua del Santo agli emigrati, collocata poi nei locali del circolo malettese.
Sicuramente in quel giorno furono vissuti intensi momenti di commozione da parte di tutti gli emigrati, che si ritrovarono come non mai così numerosi in un solo posto, accumunati tutti dalla devozione e dall'amore per S. Antonio.
Da quell’anno, anche a Basilea si celebra, fra gli emigrati malettesi, una piccola festa di S. Antonio che ha visto anche la partecipazione della banda musicale di Maletto.
Un’altra significativa iniziativa di quell’anno, è stata la pubblicazione di una mia monografia che ha cercato di mettere a fuoco il significato del culto di S. Antonio nella storia del popolo di Maletto.
La pubblicazione, a cura del comitato dei festeggiamenti e stampata in qualche migliaio di copie dalla Scuola Grafica Salesiana di Catania, venne gratuitamente distribuita durante la festa.
La monografia contiene alcune brevi notizie sulle origini di Maletto e sulla sua storia; il ruolo del feudatario, Principe Spadafora; il processo di definizione dell’identità malettese e la presenza centrale della figura di S. Antonio, quale simbolo e momento unificante dell’origine di tale identità e la connessa importanza del ruolo del santo protettore, soprattutto nei secoli precedenti.
Quindi l’incontro del neo costituito popolo di Maletto con S. Antonio, il Santo del popolo e la sua venuta a Maletto nel XVII secolo
Contiene, inoltre, una sintetica descrizione delle condizioni sociali ed economiche della popolazione contadina di Maletto in quel periodo e negli anni successivi: i disagi, la difficile sopravvivenza, le epidemie, le carestie, la fame, l’emigrazione etc.
Vi è esposta anche una breve storia delle chiese e delle feste di Maletto.
Infine c’è la descrizione della festa, come si svolgeva e come si svolge attualmente.
Tale descrizione riprende alcuni momenti particolarmente intensi e suggestivi, tipici propri della festa di S. Antonio a Maletto, specie durante la solenne processione, che rimarcano aspetti della religiosità popolare, delle feste religiose in generale ed in particolare di questa festa locale.
Per alcuni aspetti la pubblicazione del 1995 è oggi alquanto datata, sia per l’evoluzione e la trasformazione della devozione religiosa, sia per le successive indagini e studi.
Mi riferisco in particolare alla venuta dell’antica statua di S. Antonio “Sant’Antuninu u Vecchiu” da Bronte a Maletto negli anni 1651-53.
L’evento, pur collocandosi certamente durante la colata lavica di quegli anni, appunto dal 1651 al 1653, confermando in parte la tradizione popolare come raccontata nella pubblicazione, va spiegato però anche con la venuta a Maletto di parte dei brontesi, rimasti senza casa e senza risorse a seguito della distruttiva colata lava, che malgrado il divieto delle autorità del tempo, si stabilirono a Maletto, sicuramente portandosi, se non la statua anche il culto per il Santo.
Ciò è confermato e dal repentino incremento della popolazione malettese in quegli anni, che si raddoppia, dai 224 abitanti del 1646 ai 461 del 1658 e dalla denominazione delle nuove famiglie che riportano molti cognomi di origine brontese.
Al di là di ogni altra considerazione, la pubblicazione ha cercato di descrivere, pur con i suoi inevitabili limiti ed errori, il profondo legame del popolo di Maletto con S. Antonio di Padova, anche quale momento di identificazione identitaria e di mantenimento di alcuni valori religiosi ed etici, oggi alquanto sbiaditi.
La ripubblicazione on line, vuole riproporre, malgrado le attuale tendenze e distrazioni, alcuni di questi valori, necessari per riscoprire l’appartenenza di ogni malettese alle proprie radici culturali.
Maletto, settembre 2015
Giorgio M. Luca
Nell'ambito dei festeggiamenti dell'8°centenario della nascita di S. Antonio di Padova, Patrono di Maletto, il comitato organizzatore, nominato dal Parroco Arciprete Salvatore Incognito e composto da diversi cittadini, anche in rappresentanza di istituzioni ed associazioni, ha predisposto un programma comprendente numerose iniziative, sia a carattere prevalentemente religioso e di culto che a carattere culturale, per ricordare degnamente la figura e l'opera di questo santo taumaturgo.
I festeggiamenti hanno avuto ufficialmente inizio il 7 maggio, in occasione della visita pastorale dell'Arcivescovo di Catania Mons. Luigi Bommarito e si chiuderanno la seconda domenica di settembre con la tradizionale festa.
Fra le iniziative intraprese è da evidenziare l'incontro di una delegazione del comitato e di fedeli di Maletto con le comunità di emigrati malettesi a Basilea nei giorni 20 e 21 maggio, alla presenza del Console d'Italia, del Presidente del Consiglio di Stato di Basilea, di altri rappresentanti e di numerosissimi emigrati. L'incontro è servito a rinsaldare i vincoli con il paese di origine e a far conoscere ai giovani S. Antonio e il culto che i malettesi hanno per il loro Protettore.
Il comitato, nel contesto del programma ha ritenuto di pubblicare anche questo opuscoletto, nel quale l'autore Giorgio M. Luca, ricercatore di storia locale, descrive in sintesi un poco di storia di Maletto e del culto per S. Antonio.
Si è così pensato di fare cosa gradita ai fedeli di S. Antonio e a tutti i cittadini, lasciando, forse per la prima volta, una traccia scritta della straordinaria storia di questo Santo protettore a Maletto.
Maletto, Maggio 1995
IL PRESIDENTE DEL COMITATO
Giuseppe Spitaleri
I - LE ORIGINI
L'origine dì Maletto è insieme storia e leggenda, già nel XIII secolo, ma il suo popolo indubbiamente comincia ad essere tale a partire dagli inizi del 1600.
Narra fantasticamente una leggenda popolare, che in epoca antica, sulla rocca del Castello dimorava una principessa dì nome Maretta o Marietta, la quale comandava una banda di feroci briganti che compivano scorrerie nelle zone vicine e poi si rifugiavano nel Castello portandovi il bottino. Attorno alla rocca, secondo la leggenda i briganti costruirono il paese di Maletto retto e governato da quella principessa dalla quale prese il nome di «Marettu».
Questa è la tradizionale versione popolare che i vecchi raccontano e che descriveva Maletto fondato ed abitato da briganti, fuorilegge o in ogni caso da gente che aveva qualcosa in sospeso con là giustizia Ovviamente questa è solo leggenda, la storia è ben altra anche se questa tradizione trova anch'essa un riscontro storico, seppure in parte travisato.
Infatti l'origine storica di Maletto risale al 1263, quando il conte Manfredi Maletta, costruì una torre fortificata sulla rocca. Questo conte era parente del re di Sicilia, Manfredi, il figlio dell'imperatore Federico II di Svevia e dal suo nome il luogo assunse il nome di Maletto. Costruì la torre, detta del «Fano», perché serviva anche per avvistamento e segnalazioni, in difesa di Randazzo, allora una delle più potenti ed importanti città della Sicilia e centro di potere politico prima degli Svevi e poi degli Aragonesi, durante la lunga guerra del Vespro siciliano contro gli Angioini di Francia.
Attorno a questa rocca fortificata, detta «Castello» si raccolse un primo nucleo di abitanti, costituito dai familiari dei soldati del Castello, da pastori e boscaioli della zona, che costruirono un agglomerato di case di legname e fango. Tuttavia, agli inizi del 1300, venuta meno la funzione militare del Castello, questi abitanti si dispersero, lasciando il Castello solo con poche guardie, in mezzo a fitte selve di boschi, il cui territorio era stato costituito in feudo e che nel frattempo era passato alla famiglia Omodei da Randazzo.
Nel 1358 il Castello venne concesso a Ruggero Spadafora, signore di Roccella che lo donò al fratello Rinaldo Spadafora il quale nel 1386 aveva acquistato anche il feudo. Da quell'anno e fino al 1812, la famiglia Spadafora sarà feudataria di Maletto. In questi 426 anni gli Spadafora, signori e padroni di Maletto furono 17 e sotto di loro Maletto fu abitato ed abbandonato per tre volte; fu costruito il paese attraversò le vicende storiche che lo portarono ad essere il paese dell'800 quale lo hanno ereditato i malettesi del secolo scorso, cioè tre generazioni prima di noi.
A Rinaldo succedette il figlio Ruggerotto Spadafora nel 1420, che sarà anche Barone di Roccella Giurato e Capitano di Randazzo il quale nel 1449 ottenne dal Re Alfonso d'Aragona l'investitura del feudo di Maletto, con l'autorizzazione a costruire la terra di Maletto e radunarvi gente di ogni fede e religione, con l'obbligo del servizio militare al re; ottenne anche il mero e misto imperio, cioè la giurisdizione civile e penale sulla popolazione. Venne iniziata così la costruzione del primo centro urbano stabile, corrispondente agli attuali quartieri attorno al Castello. Si raccolse per la seconda volta un certo numero di abitanti dando vita ad una comunità contadina che però per le precarie condizioni economiche aggravate da una forte carestia che afflisse tutta la Sicilia, alla fine del 1400 si disperse, spopolando ancora Maletto.
Tuttavia i successivi Spadafora continuarono a costruire il paese, e nel 1502 Giovanni Michele Spadafora ottenne dal Vescovo di Messina, l'autorizzazione a costruire la prima Chiesa, quella di S. Michele Arcangelo, intitolata a tale Santo sia perché questo era il suo nome e soprattutto perché era il santo protettore dei cavalieri medioevali e che in un certo qual modo rappresentava la classe dei baroni feudatari. La chiesa venne costruita intorno agli anni 1505 - 1510, ed era di esclusiva proprietà del feudatario e a carico di questi stava il suo mantenimento. Sotto di essa venne costruito il cimitero per l'uso sia della famiglia Spadafora che per gli abitanti del borgo. Furono inoltre costruiti i primi fabbricati ad uso del feudo, cioè il palazzo baronale con le carceri (l'ex Comune), i magazzini lungo la Via S. Antonio e la Via S. Michele, il vecchio loggiato della via Umberto. Si riaggregava così per la terza volta una piccola popolazione costituita in massima parte dagli amministratori del feudo, campieri, servitù, lavoranti, carbonai, contadini e pastori per lo più di provenienza randazzese e della provincia di Messina, nonché dal vicino casale di S.Venera, forzatamente abbandonato dalla popolazione a seguito dell'ordine, nel 1535 dell'imperatore Carlo V che da Randazzo in tale anno comandava di abbandonare tutti i casali sparsi nella zona e di riunirsi a Bronte e che ridusse il feudo di Maletto ad essere chiuso e circondato da ogni parte dal territorio di Bronte, come è ancora oggi.
Questa nuova popolazione però non assunse ancora un carattere di stabilità, in quanto per le precarie condizioni economiche fu soggetta ad alterne emigrazioni che ne determinarono quasi la scomparsa alla fine del 1500.
II - IL PRINCIPE SPADAFORA
È nel 1619, però, che si ha la svolta definitiva per questo borgo in formazione. Infatti il 2 aprile di quell'anno Michele Spadafora Bologna, uno dei più potenti membri della famiglia Spadafora in Sicilia, feudatario di molte altre terre e castelli, Pretore di Palermo e componente del Parlamento siciliano, nel braccio baronale, ottenne dal re Filippo III d'Austria da Madrid, il titolo di Principe di Maletto. Il novello principe avvertendo l'esigenza della colonizzazione del suo feudo, al fine di aumentare la produzione di grano e di altre derrate alimentari, i cui prezzi erano di molte cresciuti per l'aumento internazionale della domanda, favorì in tutti i modi il ripopolamento del borgo, già abbandonato tre volte dai suoi abitanti. A tal fine emanò una serie di provvedimenti: ottenne ancora dal re di esentare i nuovi abitanti dalle tasse statali e dalle prestazioni militari alla corona per un periodo di dieci anni; concedette piccole porzioni di terreno gratuitamente e più grosse porzioni dietro il pagamento di un modesto canone; consentì ai contadini e pastori di usare i pascoli, raccogliere ghiande nel grande bosco di Maletto, di usare il legno verde per finì di commercio e quello secco quale combustibile per i freddi inverni.
Il Principe Michele morì a Roccella il 3 ottobre dello stesso anno 1619.Gli succedette il figlio Francesco Spadafora Crisafi. Questi continuò l'opera del padre, infatti confermò l'esenzione del pagamento delle decime ed angherie feudali per cinque anni: donò gratuitamente per due anni le sementi e le piante da mettere a coltura dei nuovi terreni disboscati; rifornì ogni famiglia dì soccorsi vari in natura; istituì un «peculio» o monte frumentario per il prestito agevolato dì grano durante il periodo invernale. Maletto così si ripopolò rapidamente e definitivamente e il borgo non fu mai più abbandonato. La popolazione segnò una costante crescita: 224 abitanti nel 1646, 461 nel 1652, 502 nel 1661 e così via fino a 1500 circa nel 1812, anno dell'abolizione del feudalesimo in Sicilia. Ma l'incremento della popolazione, oltre che a fatti puramente economici, va anche attribuito alla franchigia di cui godeva il feudo e la nuova terra di Maletto, che consentì ai fuggiaschi ed ai ricercati della giustizia del re, specie da Randazzo, ai perseguitati politici, di trovare sicuro asilo in questo territorio, sotto la benevola protezione del Principe. Sembra questa una parziale conferma della leggenda che vuole Maletto rifugio di briganti e fuorilegge, ma anche dei bisognosi e affamati, tanto è vero che un antico proverbio siciliano dice: «Cui è veru bisugnusu e campa affrittu, si vori ajutu ricurri a Marettu».
La maggior parte delle famiglie esistenti all'origine di questo nuovo periodo a Maletto, sono ancora oggi presenti e molte altre se ne sono aggiunte nel corso del 1700, formando così il popolo di Maletto, con una propria identità, cultura, lingua, usi e costumi che faticosamente cercò dì essere protagonista della sua storia e del suo destino, attraverso sofferenze, lotte, sacrifici, soprattutto nel corso degli ultimi due secoli. A tal proposito è stato scritto: «La storia dì Maletto e del suo popolo è, in definitiva, quella di un casale di servì della gleba, affrancatosi lentamente dal secolo XIII al secolo XIX; di una gente cioè, che come il bestiame e gli attrezzi dì lavoro avuti per dissodare i campi e costruire la fortuna del feudatario e signore, seguì in tutto e per tutto, giacché vi fu legato, le sorti stesse del feudo in cui nacque. faticosamente visse e morì, per molte e molte generazioni».
Ed infatti le condizioni di vita e di lavoro, in questo feudo dell'interno della Sicilia, completamente chiuso ad ogni influsso esterno, erano molto dure ed il popolo non aveva altra speranza ed aiuto se non nella religione e nell'intervento divino, che costantemente ed in modo molto profondo ed intimo scandivano tutta la vita di ogni abitante, dalla nascita alla morte, in ogni momento della giornata e dell'intera esistenza. Questa ansiosa ricerca approda soprattutto nel culto dei santi protettori, che intercedendo presso Dio, ottengono grazie, miracoli ed aiuto, per alleviare i bisogni quotidiani e le sofferenze fisiche e morali.
Una prima manifestazione di questa esigenza si ha a Maletto già alla fine del 1500, quando, sì è detto, una parte degli abitanti del casale dì S. Venera vennero a risiedere a Maletto, invece di andare a Bronte, ove erano obbligati. Questi mantennero vivo il culto per Santa Venera sino al secolo successivo. Ciò è attestato da una supplica del 1660 fatta dal Cappellano di Maletto dell'epoca, il Sac. Antonio Scarlata al Vescovo di Monreale, in visita a Bronte, per andare processionalmente nella Chiesa di S. Venera, trovandosi essa in territorio di Bronte, La licenza venne concessa per i casi in cui vi fosse penuria d'acqua o siccità. Detta devozione si manterrà. trasferendosi successivamente nella Chiesa della Madonna del Carmine, costruita in territorio di Maletto nel corso del 1600 e successivamente nella preghiera a S. Antonio o a S. Vincenzo.
La Chiesa dì S. Venera, di origine bizantina, come lo stesso casale, a seguito dell'abbandono, andò in rovina e si diroccò. Secondo un cronista dell'epoca S. Venera comparve in sogno ad una donna di Maletto, dicendole di andare a pregare sulle rovine della Chiesa e che avrebbe aiuto così guarito il proprio figlio, infermo da molto tempo. La donna vi andò, portandosi il figlio malato, il quale fu subito guarito. lì fatto si divulgò in tutta la zona e una grande folla accorse per baciare e toccare le rovine della Chiesa, ottenendo gli infermi miracolose guarigioni. In breve tempo, nel periodo fra il 1657 e il 1666, si ricostruì la Chiesa, grazie all'opera del Sac. Antonino Scarlata, che ottenne come sì è detto il permesso per l'esercizio del culto. La chiesa successivamente abbandonata, rovinò nuovamente fino alla sua totale scomparsa un secolo addietro circa.
III - L'INCONTRO CON S. ANTONIO DI PADOVA
Questa ansia di identità e di esigenza religiosa, trovò una sua grande e definitiva risposta nell'incontro del popolo di Maletto con S. Antonio di Padova, il santo più popolare della cristianità e il più conosciuto nel mondo.
L'occasione fu data dalla grande colata lavica che durò dal 1651 al 1654 e che seppellì sotto un fiume di fuoco una gran pane del vicino paese di Bronte.
La tradizione popolare di Maletto, che si tramanda da padre in figlio, vuole che per fermare questa grande colata lavica, i brontesi portassero in processione la statua di S. Antonio, ove il culto era già radicato da molti anni, ma che però, siccome la lava non si fermava, abbandonarono la statua in aperta campagna, mettendogli davanti del fieno e un sacchetto di orzo e fuggirono. In quei giorni passavano nei pressi alcuni malettesi di ritorno dal lavoro della mietitura (secondo altri dalla transumanza) nei grandi feudi della piana di Catania e vista la statua di S. Antonio sola ed abbandonata la presero e la portarono a Maletto, dove fra grandi accoglienze, il popolo proclamò S. Antonio protettore del paese, facendo aumentare così i motivi dì accanito campanilismo e rivalità fra Maletto e Bronte, che si vide derubato del proprio santo. Contrasti che sarebbero durati fino a non molti anni fa, manifestandosi anche durante la festa dì S. Antonio, con vere e proprie risse. Ovviamente i motivi di contrapposizione e di astio con Bronte non erano dovuti al solo episodio di S. Antonio, ma piuttosto derivavano da controversie territoriali e dal fatto che Bronte, grande e ricco paese, voleva assorbire e sottomettere il piccolo Maletto, isolato e povero, sentendolo come un corpo estraneo all'interno del suo territorio. Da ciò usurpazioni territoriali, sistematico boicottaggio nelle rideterminazioni dei confini, malgrado le ragioni dì Maletto e conseguenti interminabili e costose vertenze giudiziarie ed amministrative.
Questa è la tradizione che però non è supportata da sicuri documenti o testimonianze attendibili dal punto di vista storico. Gli elementi certi. invece sono: la colata lavica che durò tre anni, dal 1651 al 1654 e che, seppellendo tutta la parte occidentale di Bronte distrusse anche l'eremo di S. Antonino il Vecchio, esistente a monte dell'abitato sopra l'attuale stazione ferroviaria, la cui contrada ancora oggi è denominata appunto «Lave di S. Antonino il Vecchio». Durante la stessa colata lavica, un'altra chiesa, quella di S. Antonio dì Padova, ancora oggi esistente nel centro urbano di Bronte, fu circondata dalla lava, che distrusse il tetto e la porta, non toccando invece l'interno. A ricordo di quell'evento, nel 1654 nel muro della chiesa fu murata una lapide in marmo che ricorda la colata lavica e lo scampato pericolo per la chiesa.
In tutte le successive o precedenti colate laviche a Bronte, non è stata mai interessata alcuna chiesa di S. Antonio. Da ciò si può ragionevolmente desumere che la tradizione popolare di Maletto sul fatto del prelievo della statua di S. Antonio, sia da collocare storicamente negli anni 1651/54 e che la stessa statua sia proveniente o dall'eremo cancellato dalla lava (da ciò la denominazione che si dava di S. Antonio il Vecchio); oppure che la stessa sia proveniente dalla Chiesa dì S. Antonio e che l'appellativo di «Vecchio» sia da attribuirsi al fatto che successivamente venne portata a Maletto l'attuale statua che si appellò «Nuovo» per contrapporla appunto a quella esistente.
Comunque sia andata la vicenda, il fatto certo è che già dalla fine del 1600, dopo l'investitura del Principato di Maletto agli Spadafora, il culto popolare per S. Antonio dì Padova si consolidò profondamente e crebbe di anno in anno fino ai nostri giorni. A convalidare l'origine brontese di tale culto, da allora e fino ad oggi, il popolo brontese mantiene una grande devozione per tale santo ed in occasione della annuale festa accorre in massa a Maletto. Venne chiamato popolarmente S. Antonino, forse dall'originario S. Antonino di Bronte, e gran parte dei malettesi cominciarono ad adottare tale nome «Antonino», riferendosi però a S. Antonio di Padova. Del resto nel meridione d'Italia è universalmente usato il nome «Antonino» riferendosi ad Antonio di Padova.
Durante lo scorcio del 1600 e fino alla costruzione della chiesa di S. Antonio, consacrata nel 1786, la venerazione al Santo protettore dì Maletto avveniva nella Chiesa di S. Michele. unica chiesa allora esistente, che era anche Chiesa madre.
Tale periodo fu attraversato da grandi calamità che misero a dura prova il popolo: carestie ricorrenti, pestilenze, disagi di ogni genere. In tali traversie, il popolo di Maletto si legò a ancor più al suo santo, che divenne così definitivamente il suo protettore e al quale ogni persona si rivolgeva per essere aiutata a superare le avversità della vita, che allora era molto dura.
S. Antonio è rappresentato con gli elementi simbolici del giglio, che significa purezza e castità; del libro che significa sapienza e dottrina e del pane che significa carità. Per quest'ultimo aspetto, la carità verso i poveri, questo Santo nei secoli scorsi in tutto il mondo, in Italia e nel meridione in particolare, assunse grande popolarità, perché la prima esigenza di ogni uomo era il bisogno del pane per ottenere il quale bisognava lavorare molto e non sempre si otteneva. Infatti la fame era all'ordine del giorno aggravata dalle ricorrenti carestie ed avversità atmosferiche che limitavano e condizionavano i raccolti. Ecco perché fu istituito «il pane di S. Antonio». Iniziativa tutt’ora esistente che raccoglie fondi per i poveri.
S. Antonio dunque rappresentò per il popolo di Maletto, che si andava formando, la sua bandiera, il suo simbolo la sua trovata identità che cercava in qualche modo di contrapporre a quella del principe il quale a Maletto rappresentava tutto: la proprietà la ricchezza la vita e la morte, la sopravvivenza sufficiente o stentata per ogni persona e dal cui volere dipendeva ogni cosa. Ed ecco la naturale e spontanea contrapposizione fra il Principe e padrone da un lato e il popolo servo dall'altro, che a livello religioso si estrinsecava tra S. Michele Arcangelo, l'originario Patrono di Maletto, il Santo del Principe e S. Antonio di Padova, il Santo del popolo, che con l'andare del tempo assumeva il ruolo di Patrono e protettore di Maletto soppiantando S. Michele. Certamente questa contrapposizione non assunse mai toni aspri o conflittuali perché la famiglia Spadafora non fu mai crudele col popolo, bensì, in considerazione dei tempi fu anche generosa e munifica con tutti, rispetto all'intero sistema feudale e al comportamento di altri feudatari.
Durante il 1700 il paese si ingrandiva e la popolazione aumentava per cui la piccola chiesa di S. Michele non era più in grado di fare fronte alla esigenze del culto religioso e soprattutto il piccolo cimitero sottostante non era capace di contenere i morti. Così, il Principe Muzio Spadafora Moncada. negli anni 1783/86 fece costruire la Chiesa di S. Antonio di Padova, con sottostante cimitero, cedendo gratuitamente l'area edificabile, sotto il Castello e riservandosi il diritto di patronato. Il Sac. Giuseppe Fiorini, parroco dì Maletto per oltre cinquanta anni, in collaborazione col Principe e con i giurati di Maletto e con la partecipazione di tutto il popolo sì interessò per i necessari contributi e difatti anche il re Ferdinando di Borbone e la consorte Carolina contribuirono alla costruzione della Chiesa, nonché il Vescovo di Messina Cifaglione, alla cui diocesi allora Maletto apparteneva, il Vescovo di Catania ed altri.
Il Principe Muzio donò alla nuova chiesa due artistiche statue in legno di pescepane, fatte scolpire a Palermo dallo scultore Bagnasco. Le statue rappresentano ovviamente, S. Antonio di Padova che venne chiamato «il Nuovo», Patrono di Maletto e S. Vincenzo Ferreri. compatrono. Dall'epoca della costruzione della Chiesa, quindi dal 1786, si consolidò certamente anche la festa di S. Antonio, della quale prima non si hanno notizie certe, ma che sicuramente doveva tenersi.
Il giorno ufficiale della festa del Santo è il 13 giugno, però a Maletto la festa venne stabilita la seconda domenica di settembre: ciò per consentire prima il raccolto estivo, in quanto il popolo era in grado di dare solo offerte in frumento o segala o altri prodotti che si raccoglievano in estate. Nello stesso mese sì tenevano, la prima domenica la festa della Madonna del Lume, la seconda appunto quella di S. Antonio, la terza domenica sì tiene tuttora S. Vincenzo, la quarta S. Gaetano e il giorno 29 S. Michele.
Il principe, oltre alle due statue, fece costruire a Palermo anche l'artistica «vara» mentre il supporto sottostante, il cosiddetto «baiardo» fu costruito a Maletto. Donò, inoltre, una salma di terreno per l'altare e la festa di S. Antonio. Su questo terreno. in contrada «Barbotte» fu riservato il diritto a tutti i cittadini di raccogliere i gelsi (i ceusi).
Da allora in poi la statua dei brontesi, portata a Maletto un secolo prima, che era detta «Sant'Antuninu u Vecchiu», «u bruntisi» venne usata per la questua e veniva portata in giro per il paese durante il giorno, con la musica per raccogliere i contributi dei fedeli. S. Antonio «il Nuovo», invece, considerato il malettese, veniva e viene tutt'ora portato in solenne processione la sera della domenica.
La vita popolare di un tempo, manifestava usi e consuetudini semplici in un avvicendarsi di giorni alquanto tribolati, legati alla clemenza del tempo che sovrintendeva, quasi esclusivamente, alla consistenza o meno del raccolto. Da ciò derivò l'autorizzazione vescovile data nel 1660 per andare processionalmente a S. Venera, solo per i casi di penuria d'acqua o siccità. Esigenza che si trasferì successivamente nella preghiera a S. Antonio per fare smettere di piovere, quando pioveva molto e a S. Vincenzo. per fare piovere quando vi era la siccità. Queste intense preghiere popolari si manifestavano con solenni processioni fuori dal centro abitato e si tenevano tino a circa trenta anni addietro. Scarsi i guadagni, l'analfabetismo pressoché totale, la vita quotidiana trascorreva essenzialmente in famiglia, senza troppe pretese, imprniata sul lavoro e sul rispetto costante di tradizioni ed abitudini che nessuno osava nemmeno mettere in discussione.
La monotonia era interrotta dalle festività religiose e quella di S. Antonio era la più grande e la più grande attesa; unico momento per attingere ai magri risparmi al fine di figurare decentemente in pubblico con vestito e scarpe nuove e portare un po' di lusso a tavola (si fa per dire), arricchita da maccheroni, un po' dì carne, qualche dolce fatto in casa etc.
La festa di S. Antonio è sempre stata celebrata dalla gente di Maletto come un momento essenziale della propria storia ed è stata la trama principale, il perno significativo dello scorrere lento dell'intero anno solare, ecco perché era attesa, preparata e vissuta intensamente nel privato oltre che attraverso uno spiccato culto esterno.
IV - IL SECOLO XIX E I PRIMI DEL '900
Nel 1812 in Sicilia viene abolito il feudalesimo: a Maletto, cessa così la giurisdizione baronale dell'ultimo principe Domenico Spadafora Colonna e subentra, nel 1817 il Comune. Il primo Sindaco è il dott. Giuseppe Leanza. I terreni del feudo vengono ripartiti fra il Comune e gli eredi del Principe, pur in mezzo a numerose e lunghe vertenze giudiziarie. A sua volta i terreni attribuiti al Comune vengono quotizzati in favore dei contadini come i terreni del bosco e quelli del feudo Viscusi.
In questo primo periodo del 1800 amministrava il paese una nuova classe dirigente espressione delta nuova borghesia terriera: i Petrina, gli Sgrò, i Putrino, i Fiorini, i Palermo.
Dopo il lungo periodo del parroco Fiorini. gli succede, nel 1807 il Parroco Onofrio Ponzo da Bronte per altri 40 anni.
La popolazione in questo periodo raddoppia da 1250 abitanti del 1810 a 2500 del 1860 anno dell'unità d'Italia. Essa socialmente è strutturata noi proprietari terrieri o concessionari delle terre feudali, che durante la seconda metà dell'800 e fino agli ultimi anni '50 saranno anche gabelloti della Duca Nelson: da una classe dì piccoli proprietari ed allevatori: dalla maggioranza formata dai bracciali che non possedevano nulla se non le braccia per il duro lavoro delle terre. Accanto a questi c'è una classe di maestri artigiani, in gran parte fabbri ferrai dato il gran numero di animali da lavoro presenti a Maletto.
Il paese è scosso dai moti insurrezionali del 1820-2l quando una colonna di circa 2000 brontesi occupa Maletto costringendolo ad insorgere contro i Borboni e schierandosi per Palermo che voleva l'indipendenza da Napoli. Così pure nel 1848 durante la rivoluzione siciliana Maletto partecipa col vicino Bronte alla creazione del nuovo stato siciliano. Ed infine nel 1860 a seguito della spedizione garibaldina anche Maletto seppure indirettamente viene coinvolto nei crudeli fatti di Bronte repressi con la forza dall'intervento di Nino Bixio.
In questo lasso di tempo il culto di S. Antonio e la sua festa si consolidano ancora di più. Documenti certi attestano lo svolgimento regolare ed annuale della festa nelle forme pressoché uguali a quelle odierne.
Intanto nel 1816 sotto il Parroco Ponzo la Parrocchia di Maletto, intitolata a S. Michele Arcangelo e composta dalle chiese dello stesso S. Michele la più antica e dalla più recente di S. Antonio di Padova oltre che da quella della Madonna del Carmine, passa dalla diocesi di Messina a quella di Nicosia fino al 1844, e, quindi da tale anno e fino ad oggi all'Arcidiocesi di Catania.
Morto il Parroco Ponzo, nel 1847, dopo un breve periodo di gestione vicariale affidata ai sacerdoti Saverio Battaglia e Pasquale Sgrò, nel 1854 viene nominato Vicario Foraneo dì Maletto il novello sacerdote Mariano Palermo, figlio dell'Avv. Biagio Palermo, uno dei maggiori esponenti dello famiglie malettesi del periodo di origine brontese.
Il nuovo sacerdote dotato di grandi capacità intellettuali e di spirito caritativo, oltre ad aiutare intensamente i poveri e gli ammalati, specie durante l'epidemia di colera del 1857, inizia la costruzione della nuova chiesa matrice, iniziata nel 1857 e finita nei 1877, con la partecipazione di tutto il popolo. Infatti, malgrado, le misere condizioni economiche e sociali degli abitanti, si riuscì con grandissimi sacrifici o con la partecipazione di tutte le classi sociali a portare a compimento una così grande opera, la più grande costruzione edilizia fino allora mai fatta a Maletto. I proprietari si tassarono in base ai loro prodotti, e i contadini ed operai prestarono gratuitamente il loro lavoro e quello dei loro animali durante i giorni festivi o di riposo. Sotto la guida e l'impulso del Sac. Palermo l'opera fu portata a termine, anche grazie alla fondazione nel 1866 delle confraternite religiose che raccoglievano le tre classi sociali esistenti allora a Maletto. Infatti per meglio coordinare gli sforzi, nonché per dare unità e concordia ai malettesi, il Sac. Palermo, con l'aiuto dell'allora diacono, poi suo successore, Antonino Schilirò, organizzò le confraternite della Misericordia, che raccoglieva i professionisti, gli impiegati e i maestri artigiani; quella della Madonna del Lume che accoglieva i piccoli proprietari terrieri o gli allevatori, i cosiddetti «massari» e quella, più numerosa di S. Antonio di Padova che raccoglieva la gran massa dei contadini e braccianti. Queste confraternite, seppur con discontinuità, sono state presenti a Maletto fino a circa trenta anni fa. Oggi, a rimarcare l'immutata devozione a S. Antonio, si è di recente ricostruita la confraternita di S. Antonio, che raccoglie tutti i cittadini a prescindere dalle condizioni sociali o professionali, accomunati solo dalla fede in Dio e dalla devozione a S. Antonio.
Il Sac. Palermo, nel 1881 fu nominato vescovo di Lipari e, poi, di Piazza Armerina divenendo uno dei cittadini malettesi più illustri nella storia del paese.
Durante tutto l'800, la festa di S. Antonio, si svolse ininterrottamente quasi tutti gli anni rappresentando il punto più alto di unità e concordia dei malettesi. Il Santo taumaturgo veniva via via sempre più venerato e numerosi erano gli interventi miracolosi nelle malattie, specie durante lo ricorrenti epidemie di colera o negli incidenti. Veniva anche invocato per la protezione durante i temporali, quando la statua veniva posta davanti all'ingresso interno della chiesa, con le porte spalancate e con il suono ininterrotto della campana che veniva prontamente suonata anche di notte placando la violenza dei fulmini e dei temporali. Così quando vi ora un lungo periodo di pioggia o un lungo periodo di siccità, le statue dì S. Antonio per il primo caso o di S. Vincenzo, nel secondo venivano portate in solenne processione, con la partecipazione delle tre confraternite, fino all'attuale bivio in prossimità del cimitero, con preghiere ed invocazioni originate da una fede popolare genuina. Quindi al ritorno venivano riposte nella Chiesa madre, fino, all'esaudimento di quanto richiesto o per la cessazione della pioggia o della siccità. Tutto ciò anche in tempi recenti.
Dopo l'unità d'Italia e durante la seconda metà dell'800, le condizioni di vita a Maletto come in molti altri paesi meridionali, erano molto misere e continuavano a peggiorare anche per l'accrescimento della popolazione che a fine secolo raggiunge le 3500 unità. Ecco che comincia l'emigrazione. Alcuni malettesi iniziarono ad emigrare verso i paesi del nord Africa: Tunisia, in particolare. Poi comincia un'ondata vera e propria fra la fine del secolo o gli anni precedenti la prima guerra mondiale, verso le Americhe. Da allora questo triste fenomeno, che costringeva molti abitanti a partire dal loro paese di origine in cerca di condizioni più umane di vita, non si è mai arrestato e in parte prosegue fino ad oggi. Infatti nel primo dopoguerra l'emigrazione continuò verso lo Americhe e l'Australia, paesi lontani, raggiunti dopo un lungo e a volte avventuroso viaggio in mare, dove si parlava una lingua sconosciuta e vi erano usi e costumi totalmente diversi. In condizioni di lavoro duro e quasi sempre analfabeti, gli emigrati si seppero però ambientare e costruirsi una vita per loro, i loro figli e nipoti, negli Stati Uniti d'America, in Argentina e in Australia.
La grande guerra 1915-18 prende nel suo vortice anche Maletto che quasi si spopola dei propri giovani partiti per il fronte, gettando nello sconforto o nel lutto le povere famiglie di contadini. I caduti di Maletto sono 86 o molti altri feriti ed invalidi. Durante il periodo bellico viene sospesa la festa di S. Antonio e molti combattenti e loro famiglie fanno voti a S. Antonio per il ritorno sani e salvi a casa. Così per molti anni dopo la guerra questi voti saranno sciolti col portare la vara anche a piedi scalzi. Così sarà anche dopo la seconda guerra mondiale.
La nuova chiesa costruita da Mons. Palermo, intitolata ai «Sacri Cuori di Gesù e Maria», nel 1877 venne solennemente consacrata dal Cardinale Dusmet divenendo la Chiesa Madre al posto di S. Michele Arcangelo e il successore, Sac. Antonio Schilirò, nel 1885 vi fece costruire il Campanile. Seguirono il Sacerdote Portale e il Sac. Parrinello, quindi nel 1928 fu ricostituita la parrocchia e il nuovo Parroco fu il Sac. Antonino Schilirò nipote del primo. Anche durante questo periodo il culto di S. Antonio è stato molto vivo e la festa si è svolta ininterrottamente ad eccezione dei periodi della guerra 1915-18 e della seconda guerra mondiale 1940-45. Al Parroco Schilirò. nel 1947 succedette il Sac. Giuseppe Tirendi, fino al 1980, poi per un anno come vicario il Sac. Antonino Gangi ed infine dal 1981 l'attuale Parroco Sac. Salvatore Incognito. Il Parroco di Maletto gode anche, insieme ad altri pochi, del titolo di Arciprete riconfermato durante la recente visita pastorale dell'Arcivescovo di Catania Bommarito.
Il ventennio fascista durante il quale alle amministrazioni elettive, erano state sostituite i podestà di nomina governativa sfociò nella guerra, con i suoi morti e distruzioni, Maletto, nel mese di agosto 1943 venne bombardato ed occupato militarmente dalle truppe anglo- americane.
V - IL DOPOGUERRA E LA Nuova EMIGRAZIONE
Il secondo dopoguerra rappresenta un periodo di transizione fra un sistema che sostanzialmente era rimasto immutato dai tempi dell'abolizione del feudalesimo ed un sistema nuovo che cambia radicalmente la struttura economica, le condizioni sociali, la cultura, le tradizioni.
Nel decennio 1945-55 Maletto vive, come tutto il Mezzogiorno, profondi travagli e una grande crisi dalla quale sarebbero sorte situazioni nuove e diverse.
Il voto a suffragio universale, le lotte sociali di questi anni, l'informazione diffusa e libera, creano nuove coscienze sociali. Vengono elette democraticamente le nuove amministrazioni. Il primo Sindaco Vincenzo Saitta, poi la Dott.ssa Lombardo, il maestro Antonuzzo e via via, l'Avv. Cali, Zappalà, Capizzi, Catania, Bonina, Mangano ed infine l'attuale Sindaco Gianni Parrinello.
In questi ultimi cinquant’anni, Maletto si è profondamente trasformato, da un antico borgo feudale, quale era, è diventato una moderna cittadina dotata di tutte le infrastrutture moderne. A ciò ha contribuito il lavoro tenace dei malettesi con l'importante contributo delle rimesse degli emigrati o sotto la guida delle varie amministrazioni succedutesi negli anni, che, chi di più, chi di meno hanno diretto la rinascita del paese.
Dopo le grandi lotte sociali del 1947-56 per la divisione delle terre della Ducea Nelson, gli effetti ottenuti con tali lotte non sono quelli sperati. Infatti la mancanza di capitali da investire sulle nuove terre assegnate o la mancanza di adeguate infrastrutture nelle campagne, non consentono ai contadini assegnatari uno sfruttamento delle terre, tale da garantire un reddito competitivo nei confronti degli altri settori dell'economia italiana. Dal settore agricolo non viene quella spinta economica capace di gestire in loco le esigenze di trasformazione che intanto procedono dall'Italia della ricostruzione e del boom economico degli anni '60.
Però le condizioni di vita, l'economia, la società e le idee cambiano velocemente: la società dei consumi muove a Maletto i primi passi. Per adeguarsi a ciò, il malettese pensa bene che le risorse finanziarie deve andare a cercarsele altrove. Ricomincia così una massiccia e continua emigrazione, che sulla scia di quella tradizionale che anche negli anni del dopoguerra si era indirizzata verso le Americhe e l'Australia, si indirizza, a partire della fine degli anni '50, verso la Svizzera, la Germania e il Nord Italia, spopolando letteralmente il paese delle sue energie migliori.
Migliaia sono stati gli emigrati malettesi nel corso di questo secolo. Gente laboriosa e tenace che ha saputo ambientarsi in contesti sociali diversi da quello di provenienza, conservando la memoria dello loro origini e soprattutto il culto dì S. Antonio come elemento di forte legame con le loro radici.
Ovunque è andato l'emigrato malettese ha portato con sé la devozione al Santo protettore dì Maletto e questo legame si è rinnovato ogni anno in occasione della sua festa, la seconda domenica di settembre. Infatti numerosi sono gli emigrati che ritornano in occasione della festa e quelli che non possono venire o per motivi di lavoro o di lontananza, contribuiscono con le loro offerte a rinnovare questo antico legame e a ribadire il loro attaccamento al Santo, che è anche attaccamento al paese di origine.
Oggi gli emigrati malettesi nel mondo che conservano più o meno un legame con il paese di origine, sono circa 1300, su una popolazione presente a Maletto di 4400 unità, senza contare ovviamente i primi emigrati di circa un secolo fa, i cui discendenti oggi hanno troncato ogni legame o rapporto con Maletto. Le comunità più numerose sono quelle di Basilea e Lörrach. Queste comunità sono giunte alla seconda generazione rispetto a quella proveniente direttamente da Maletto; cioè o sono nati all'estero o sono partiti da Maletto molto piccoli con i loro genitori per cui del paese di origine non hanno una diretta conoscenza se non per le sporadiche venute o per quello che sentono in famiglia o per i rapporti con i parenti rimasti a Maletto.
Per tutti questi anche S. Antonio si pone forse in un rapporto diverso rispetto ai loro genitori. Per tale motivo il Comitato Organizzatore dei festeggiamenti per l'8° centenario della nascita del Santo ha inteso promuovere un significativo incontro riconoscendo nelle comunità di emigrati una componente essenziale, che ha dato e continua a dare un contributo fondamentale per lo sviluppo di Maletto e per rinsaldare il legame soprattutto nei confronti della nuova generazione che vive in un contesto sociale e religioso diverso e più avanzato di quello di Maletto. Per queste nuove generazioni, però, sarebbe auspicabile il mantenimento del grande bagaglio dì conoscenza, cultura delle origini e di fede propria dei loro genitori emigrati e dei loro avi vissuti a Maletto sin dal 1600, per arricchirla anche di spiritualità, elemento questo forse un poco carente nelle società industriali avanzate, protese principalmente alla produzione o al consumismo.

VI - LA FESTA
S. Antonio di Padova nacque a Lisbona in Portogallo nel 1195, ecco perché sì celebra ora l'8° centenario della nascita. Morì Padova nel 1231 ad appena 36 anni. Da giovane entrò nell'ordine dei Canonici Regolari Agostiniani, prima a Lisbona poi a Coimbra, ove studiò profondamente le Sacre Scritture e divenne sacerdote. Colpito dal modello di vita e dal martirio di alcuni frati francescani, abbracciò anch'egli la povertà e l'esempio di S. Francesco d'Assisi, divenendo un grande predicatore contro le eresie del tempo, cause di guerre e malanni e i soprusi dei potenti, in difesa dei poveri e compiendo grandi prodigi. La sua azione si svolse principalmente nel Nord Italia e nel Sud della Francia, fondando conventi, insegnando nelle nuove università e scrivendo grandi opere teologiche. La sua vita fu un modello di santità, di povertà e di carità e ancora prima di morire il popolo lo chiamò «Il Santo». Difatti entro un anno dalla morte fu proclamato Santo, e nel 1946 «Dottore evangelico della Chiesa». Per otto secoli è stato un potente intercessore dei poveri, degli ammalati e degli oppressi. Ecco quindi la grande attualità di questo Santo, quale riformatore sociale e soprattutto esempio per i giovani che aspirano ad una società più giusta e meno egoistica.
A Maletto, per la sua particolare devozione, è stata di recente donata una reliquia, prelevata dal corpo di S. Antonio durante la ricognizione dei resti avvenuta nel 1981.
Oggi la festa di S. Antonio sì svolge quasi come negli anni passati, la seconda domenica dì settembre. Anche il 13 giugno, si fa una festa in chiesa, preceduta da una «tredicina», cioè tredici giorni dì preghiere con le quali sì invoca l'aiuto e la protezione dì S. Antonio. Alla fine dei tredici giorni, durante la messa cantata, si benedice il pane, simbolo della carità, che viene distribuito ai fedeli e si benedicono «le vesti e l'abitino di S. Antonio», che molte persone, specie i bambini. indossano per ringraziare il Santo per le grazie ricevute o per avere la sua protezione. Negli ultimi anni il comitato organizzatore ha dato maggiore impulso a questa festa dì giugno, arricchendola anche della processione per le vie del paese.
La festa è organizzata da un comitato di cittadini nominato dal Parroco, il quale raccoglie le offerte dei fedeli, predispone ed attua il programma.
Fino a circa 40 anni fa la raccolta delle offerte aveva inizio durante il periodo della trebbiatura che allora avveniva solo a mezzo di animali. Il comitato si recava nelle aie dove veniva battuto o «piszato» il grano, deponeva una immagine di S. Antonio su un mucchio dì grano già pulito, offriva ai contadini del tabacco da naso e quindi raccoglieva le offerte in frumento che poi veniva venduto e il ricavato usato per far fronte alle spese della festa.
Si usava anche mettere un «balzello» cioè una piccola addizionale di un soldo o due sui beni di consumo che venivano acquistati nei negozi per un periodo di due mesi circa sempre per finanziare la festa.
La raccolta, come avviene anche oggi, continuava nei giorni precedenti la festa, in particolare il sabato e poi durante la processione della domenica.
Come prima accennato, il sabato veniva portata in giro per il paese la vecchia statua di S. Antonio seguita dalla banda musicale e dai componenti del comitato per la raccolta delle offerte, la maggior parte delle quali erano in natura: frumento in prevalenza oggi totalmente scomparso nella questua. Si usava anche ornare la statua con grappoli d’uva raccolta nei numerosi pergolati allora esistenti nei cortili delle case e con vasi di basilico.
Per il resto tutto è identico al passato. La festa ha inizio già dal giovedì con festoso suono di campane e sparo di mortaretti. Segue la tradizionale fiera del bestiame, il venerdì, che prima continuava anche il sabato e durante la quale, fino a qualche anno fa veniva comprato dal comitato un vitello che poi veniva sorteggiato dal balcone del Comune. Le vie principali del paese, le chiese, le piazze o i luoghi più importanti vengono illuminati con straordinari giochi di luci che rendono particolare l'atmosfera. Arriva la banda musicale che esegue concerti nelle piazze e una volta anche sul palco appositamente allestito. Qualche volta le bande musicali sono due: una per la raccolta e i servizi più umili e un'altra per i concerti. Arrivano anche numerosi venditori ambulanti di vario genere: tipici i venditori della «càlia» e dei palloncini. Come pure qualche giorno prima della festa giunge un mini luna park per il divertimento dei bambini e dei giovani. Il sabato sera e la domenica vengono eseguiti spettacoli musicali sul palco.
Durante la domenica, dopo la celebrazione della messa mattutina, di solito all'aperto. di fronte alla chiesa, negli ultimi anni presieduta dall'Arcivescovo appositamente giunto, la statua di S. Antonio viene sistemata sulla vara ed esposta in chiesa, diventando meta dì un’incessante pellegrinaggio da parte dei fedeli che rendono omaggio e preghiere al Santo offrendo denaro ed anche oggetti preziosi come ex voto. Il culmine della festa è la solenne processione, la sera, dopo la messa vespertina. La vara viene illuminata ed infiorata: portata a spalla da circa 50 fedeli, per devozione e per voto, i quali si prenotano «il posto» mediante un fazzoletto legato alle barre del pesante «baiardo». L'equilibrio della vara e la sua giusta direzione, onde consentirle il districarsi in mezzo alle strette ed antiche viuzze del centro storico, vengono assicurate con lunghe corde, tirate da gente esperta, che le conserva a casa, tramandandosele da padre in figlio.
All'uscita ed all'entrata della vara, vengono eseguiti grandiosi spettacoli pirotecnici che misurano tradizionalmente la riuscita della festa.
La processione segue sempre un antico percorso detto «la vita dei santi», recentemente un po' variato ed ampliato per adeguarlo alla crescita urbanistica del paese. Partecipano centinaia di fedeli che, spesso scalzi, portano un cero acceso come ex voto che, stando al numero sempre crescente, testimoniano l'aumento degli interventi miracolosi del santo o la speranza di ottenerli. Durante la processione i portatori inneggiano a S. Antonio, incoraggiandosi anche per il grande sforzo fisico sostenuto e se la banda smette di suonare si fermano e tornano indietro fintantoché la musica ricomincia. La processione sosta in determinati punti fissi, per consentire un po' di riposo ai portatori che vengono anche rifocillati con delle bevande: una volta vino, oggi birra.
Fino a qualche anno fa le banconote offerte venivano appese a dei lunghi nastri, cosicché alla fine della processione la statua di S. Antonio era interamente rivestita di denaro. Molto opportunamente tale usanza è stata abolita ed ora le offerte vengono riposte in una cassetta di vetro posta ai piedi della statua.
Questo è l'aspetto esteriore del culto dì S. Antonio, che riflette la religiosità popolare dei malettesi, seppure in forme non perfettamente spirituali, però è una tradizione antica e consolidata e come tale continua, espressione di devozione e venerazione verso S. Antonio da parte del popolo di Maletto, che proprio durante la festa trova un momento di concordia ed unità.
GIORGIO LUCA
I COMPONENTI DEL COMITATO - ANNO 1995 -
1)-SPITALERI Giuseppe - Presidente
2)-ROBBIA Salvatore - Vice Presidente
3)-NAPOLI Spatafora Vincenzo - Segretario
4)-GULINO Vincenzo - Cassiere
5)-BIUSO Fabio - Componente
6)-CAIRONE Maurizio "
7)-CALI' Sergio "
8)-CARRUBBA Vincenzo Antonino "
9)-GALVAGNO Nunzio "
1O)-GALVAGNO Vincenzo "
11)-GIANGRECO Giuseppe "
12)-GRECO Antonino "
13)-GUARRERA Pasquale "
14)-GUGLIUZZO Giuseppe "
15)-IMBROGIANO Carmelo "
16)-LUCA Gaetano "
17)-OLMO Luigi "
18)-PROTO Salvatore "
19)-PUGLISI Vincenzo "
2O)-RUSSO Vincenzo "
21)-SANFILIPPO Giuseppe "
22)-SANFILIPPO Ugo "
23)-SCHILIRO' Giuseppe Salvatore "
24)-SCHILIRO' Paolo "
25)-SPATAFORA Antonino "
26)-TIRENDI Mariano "
27)-TIRENDI Vincenzo "
(Stampa: Scuola Grafica Salesiana - Catania)